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Una chiacchierata con… Augusto Vitale

Emanuela Bartoli 30/11/2021 Etologia

Augusto Vitale ha conseguito la Laurea in Scienze Biologiche presso l’Università di Parma nel 1982 e, nel 1988, ha ottenuto il Ph.D. in Ecologia Comportamentale presso l’Università di Aberdeen (Scozia). Nel 1989 ha poi cominciato a lavorare con i primati non umani insieme alla Dr.ssa Visalberghi presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma, e alla Prof.ssa Fragaszy presso la Washington State University. L’interesse che l’ha sempre accompagnato per questi animali va a toccare vari aspetti dell’etologia e lo ha portato a essere responsabile di una colonia di scimmie uistitì (Callithrix jacchus), ospitate presso i locali Dell’Istituto Superiore di Sanità tra il 1993 e il 2015. Durante la sua carriera è stato Presidente dell’Associazione Primatologica Italiana ed è tuttora Segretario della Federazione Europea di Primatologia. Da oltre 20 anni, inoltre, si occupa dei problemi etici e scientifici sollevati dall’utilizzo di animali nel campo della ricerca biomedica, tematiche per cui è diventato membro degli Expert Working Groups, riuniti periodicamente dalla Commissione Europea a Bruxelles per discutere, appunto, degli aspetti legislativi riguardanti la sperimentazione animale. Infine è valutatore delle proposte di progetti che utilizzano modelli animali e dal 1991 fa parte dell’Istituto Superiore di Sanità, oggi presso il Centro di Riferimento per le Scienze comportamentali e Salute mentale.

Autore del Libro: “Le scimmie si raccontano? Passioni e dubbi dell’etologia.” Ed. Unicopli

Introduzione

Cos'è l'etologia? Sinteticamente si potrebbe rispondere con la definizione: "l’etologia è la scienza che studia il comportamento animale". Ma per chi la ama è molto più di questo: è passione per il vivente, desiderio di conoscere l'altro. È una delle risposte alle domande: "Chi siamo? Da dove veniamo?"

Chi si occupa di etologia con tale trasporto non smette mai di farsi domande e di essere spronato verso la continua scoperta, potenzialmente infinita, di tutto ciò che questa scienza ha da offrire. L’entusiasmo non può che diventare, successivamente, anche una spinta alla condivisione. Se poi, oltre allo studio e al lavoro, si ha la fortuna di avere per compagno di vita uno o più animali, li si guarda ogni giorno con occhi nuovi, a volte curiosi, a volte stupefatti, a volte commossi, ma sempre e comunque affascinati.

Grazie al lavoro che porto avanti all’interno di HorseManKind, ho letto libri e ricerche, partecipato a corsi universitari e conferenze e conosciuto etologi di ogni genere. Tra tutte le conoscenze che ho fatto, ho incontrato purtroppo qualcuno che svolge questa professione come se fosse qualsiasi altro lavoro, senza la passione che citavo poco prima, ma la maggior parte, invece, la passione ce la mettono eccome. Sono persone che amano davvero l’etologia, persone che è valsa la pena conoscere, sia come docenti sia come scienziati ma, soprattutto, come esseri umani. Mi è capitato spesso di fare lunghe chiacchierate con loro, ma non avevo mai pensato che anche un semplice dialogo potesse essere condiviso. Ma riflettendo proprio mentre parlavo con Augusto, mi sono detta: ciò che si dice è sempre così interessante ed entusiasmante… perché tenerlo solo per me?

Ecco quindi nato questo articolo, redatto sotto forma di intervista e completato dalle definizioni di alcuni termini specifici che sono stati utilizzati, per aiutare nella comprensione quei lettori che non sono a conoscenza della materia. Buona lettura!

Iniziano le chiacchiere... Si parla di:

Canone di Morgan, Cognitività animale, Teorie dell'Apprendimento, Ricerche scientifiche.

E. Bartoli

Parliamo del Canone di Morgan*. In funzione della sua importanza e delle critiche che ha sollevato, mi potresti dire attualmente in quali occasioni e in che modo viene utilizzato?

A. Vitale

Non ci sono occasioni specifiche in cui si usa o no, non è una metodologia obbligatoria, dipende dall'attitudine generale dello scienziato. È cautelativo utilizzarlo per evitare derive antropomorfiche*, ma occorre prestare attenzione a non esserne limitati, per evitare ciò che De Waal definisce "antropodiniego” *.
Non è sbagliato quindi dare agli animali la chance di essere meglio di ciò che noi solitamente pensiamo, ma l’accortezza generale dovrebbe essere quella di utilizzarlo sempre, soprattutto per essere il più possibile obiettivi e per non trarre conclusioni affrettate, che poi magari non si riescono realmente a dimostrare.

L’idea generale con cui si visualizzano gli esseri viventi è quella della piramide, dove alla base ci sono gli esseri meno complessi e all’apice l’uomo e questo potrebbe andare in conflitto con la teoria del Canone di Morgan, ma dobbiamo ricordare che l’evoluzione non funziona così. Invece di una piramide, dovremmo visualizzare un albero con dei bracci paralleli in cui ogni animale si sviluppa, seguendo il proprio percorso. Questo toglie ogni tipo di “gerarchia evolutiva” tra gli animali, per cui nessun animale è più o meno evoluto dell’altro.

Se si parla di ambiti di utilizzo, è sicuramente più difficile applicarlo all’interno dell’etologia cognitiva, dove si studiano i fenomeni dell’apprendimento e si valutano le emozioni e le capacità cognitive, proprio per la complessità che esiste nel comprendere cosa c’è nella mente di un animale. Ma anche in questo caso, pur essendo una scelta dettata maggiormente dall’attitudine piuttosto che dalla metodologia, usarlo è una prudenza.

In conclusione, io sarei per un “Canone di Morgan liberale”.

E. Bartoli
Come viene quindi utilizzato, nella pratica?

A. Vitale
Viene utilizzato nel momento in cui si interpretano i dati ricavati dall'osservazione di un comportamento, traendone poi una spiegazione, la quale può essere il risultato dell’applicazione del Canone di Morgan stesso oppure no.



Canone di Morgan
Noto anche come il canone di interpretazione di Morgan o principio o legge di parsimonia, può essere considerato come la versione psicologica del famoso rasoio di Ockham, difatti è un precetto fondamentale della psicologia animale comparata. Esso afferma che: "In nessun caso un'attività animale può essere interpretata in termini di processi psicologici superiori se può essere equamente interpretata in termini di processi che si collocano più in basso nella scala dell'evoluzione e dello sviluppo psicologico". E' diventato uno strumento prezioso e molto utilizzato nello studio della cognizione animale, ma nello stesso tempo ha raccolto critiche sostanziali.
Antropomorfismo
Dal greco (anthropos), "uomo, essere umano" e (morphe), "forma". L'antropomorfismo, in etologia cognitiva, è la tendenza a interpretare il comportamento degli animali attribuendo loro motivazioni, caratteri ed esperienze di tipo umano.
Antropodiniego
"Rifiuto a priori di riconoscere tratti simili a quelli umani in altri animali o tratti simili a quelli di animali in noi". (Frans De Waal, Siamo così intelligenti da capire l'intelligenza degli animali?, Raffaello Cortina, Varese, 2016, pag. 41)
Per esempio: se io vedessi una scimmia compiere un’azione più o meno uguale a quella di un dimostratore, potrei inizialmente interpretare questo fatto in tanti modi: potrei dire che è stata una coincidenza, che ci è riuscita per tentativi ed errori o che ha compreso ciò che faceva il dimostratore e di conseguenza lo ha imitato. Farei quindi altri test per eliminare man mano le ipotesi, dalla più semplice alla meno semplice, fino ad arrivare a quella che sembra la spiegazione migliore, che potrebbe essere anche più complessa di quella che avevamo pensato inizialmente.

E. Bartoli
Ho sentito affermare che gli animali dimostrano più cognitività durante un test di laboratorio piuttosto che in natura. Come se avessero, su base biologica, delle potenzialità che possono emergere solo se adeguatamente stimolate. È così?

A. Vitale
La cognitività c'è sempre, solo che in laboratorio può essere osservata, mentre in natura può capitare che non riusciamo a cogliere il momento in cui viene applicata. Un esempio classico è avvenuto durante uno studio di Elisabetta Visalberghi*.

Studiando i cebi dai cornetti, aveva osservato che, per rompere le noci, sembrava scegliessero delle pietre specifiche, adatte al loro scopo. L’idea di base dello studio era quindi proprio questa: dimostrare che i cebi dai cornetti avessero la cognizione di quale strumento gli servisse per raggiungere il loro obiettivo. Il ché implica un’interiorizzazione delle caratteristiche fisiche del problema, cioè che ci sia un pensiero simile a: “per quella noce mi serve quel particolare tipo di strumento perché ha quelle specifiche caratteristiche fisiche”. Una cosa davvero notevole!



Elisabetta Visalberghi
Importantissima primatologa italiana
Link per saperne di più

Per svolgere il test, Elisabetta aveva preparato delle pietre false, ossia degli oggetti che riproducevano esattamente le dimensioni, la forma e il colore delle pietre che i cebi utilizzavano. L’unica cosa che le distingueva da quelle vere era il peso, perché erano fatte di materiale leggerissimo. Una volta mescolate le pietre false e quelle vere, ha atteso. Quando le scimmie hanno cominciato a raccogliere le pietre, si sono accorte che qualcosa non andava e hanno cominciato a pesarle con le mani per sceglierle e capire quali facevano al caso loro!

Image

Questo è un classico esempio dove l'ipotesi di una cognitività sofisticata era vera e un caso molto affascinante di laboratorio in natura*, che è il modo più bello di studiare un animale. Se Elisabetta non avesse fatto questo esperimento, sarebbero forse passati anni prima di comprendere che i cebi dai cornetti hanno questa capacità. E forse, se l’avessero fatto in cattività, avrebbero potuto dire che era stato merito dello stimolo offerto in laboratorio. È vero che in laboratorio si può scavare più a fondo sulle capacità degli animali e alcuni stimoli sono effettivamente un po' difficili da trovare in natura, ma non possiamo saperlo con certezza perché non viviamo con loro h24!

E. Bartoli
Ma come fanno gli etologi ad avere la fantasia per creare questi test? Spesso mi capita di leggere dei paper* e rimanere sbalordita dalla complessità e dalla genialità di certi test!

Laboratorio in natura
I test cognitivi solitamente vengono fatti in un laboratorio con animali in cattività; nel "laboratorio in natura", invece, vengono fatti direttamente in natura, con l'animale selvatico nel suo ambiente, che non si rende nemmeno conto di essere osservato. È lo studio più etico e rispettoso, ma anche il più attendibile come risultati.
Paper
Articolo scientifico che riporta i dati di uno studio.

A. Vitale
È la creatività! Elisabetta era fantastica in questo. Sono doti personali... Pensa che una volta per capire se le scimmie avessero la concezione della forza di gravità aveva costruito un marchingegno fatto con dei tubi, Molto creativo e semplice nella sua genialità…

(L'entusiasmo di Augusto è altamente contagioso, così come è lodevole la stima che dimostra per i/le colleghi/e!)

E. Bartoli
Quando si parla di “sviluppo della cognitività”, si parla di fornire agli animali stimoli che favoriscano l’interesse, la curiosità, ecc. È mai stato preso in considerazione che uno di questi "stimoli" potrebbe essere la relazione con l'uomo?

A. Vitale
Sì, è stato fatto qualcosa con i cani.

E. Bartoli
Io lavoro con i cavalli. Uno dei princìpi fondanti della nostra filosofia è la relazione, creata e sviluppata in modo da favorire il loro desiderio di capirci e questo desiderio diventa talmente forte che si impegnano con tutte le loro risorse cognitive per imparare a farlo. Abbiamo creato un linguaggio interspecie per comunicare con loro e loro collaborano con noi volontariamente, liberamente.

A. Vitale
Ma li premiate se lo fanno?

E. Bartoli
Assolutamente no, non usiamo il condizionamento. Loro decidono di accettare i nostri eventuali inviti a stare con noi e/o a fare esperienze insieme a noi sempre e solo per la relazione. In questo sono sempre assolutamente liberi: possono decidere di accettarli o meno.

A. Vitale
Posso provare a improvvisare una spiegazione. Se loro capiscono che la relazione che hanno con te è in qualche modo importante, faranno in modo di conservarla.

(Questa frase mi ha colpita, per la sensibilità di Augusto e per la sintonia che traspare tra il suo e il nostro pensiero).

Sergio Albertin e Cleo del nostro branco

Ci sono stati esempi avvenuti durante alcuni test in cui si è capito che gli scimpanzè risolvevano i problemi che gli venivano proposti solo perché avevano capito che era quello che lo sperimentatore voleva da loro. Ovviamente in tali casi questo non era il risultato che si voleva ottenere, quindi i test erano stati criticati. Ma pensandoci…

E. Bartoli
Certo, però in questo caso si parla della risoluzione di un problema proposto in laboratorio. E se si tratta semplicemente di convivere e fare esperienze insieme?

A. Vitale
So per certo che per i cani è così, ma non conosco i cavalli, quindi per loro non posso dire nulla.

E. Bartoli
Volevo anche farti una domanda sulle Teorie dell'Apprendimento e i loro effetti. Nel sapere comune il cavallo deve essere domato per accettare l’essere umano. La doma può essere fisica o psicologica, più o meno coercitiva, ma ottiene sempre lo stesso effetto: piegare la volontà dell'animale per fare in modo che accetti l'essere umano sia di fianco sia sopra di sé. Dopodiché arriva l'addestramento, fatto con i rinforzi negativi* in cui si utilizza come pressione una frusta.

A. Vitale
Ah! Si fa ancora questa cosa?

(La sua intonazione tra lo sorpreso e il triste mi ha fatto comprendere quanto rispetti gli animali)

E. Bartoli
Assolutamente sì, con i cavalli sì.

A. Vitale
Come ti dicevo io non conosco il mondo dei cavalli e di conseguenza come le persone si relazionano con loro. Ma una persona che conosce bene l'aspetto della relazione tra animali e umani è Federica Pirrone*. Lei è proprio brava ed è anche una splendida persona. Lei è una perla rara perché è una veterinaria etologa, ma etologa vera. Difficilmente ai veterinari interessa l'aspetto etologico. Nel suo caso è vero il contrario! Comunque, tornando all'addestramento, la mia esperienza è con le scimmie del laboratorio, e ti garantisco che il rinforzo negativo non si usa mai, ma proprio mai.

E. Bartoli
Infatti! È triste che nell'ambiente equestre sia ancora così! Per la mia esperienza, posso dire che applicare il rinforzo negativo su un cavallo è peggio che, ad esempio, applicarlo su un cane; e questo perché il cavallo è una preda, quindi la pressione, che è basata sulla paura, viene vissuta diversamente. La paura si insinua nella sua mente e il cavallo non si permette nemmeno più di "pensare".

Rinforzo negativo
Termine che indentifica il mettere una pressione e poi rilasciare. Si dice "negativo" non per una valutazione morale, ma per identificare che la pressione viene tolta (togliere = sottrarre = segno meno, quindi “negativo”).


Federica Pirrone
Ricercatore (RU) presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria (DIMEVET) dell’Università degli Studi di Milano ed Etologa.
Link per saperne di più

Autrice del Libro “Un’etologa in famiglia” Ed. Unicopli.
Bias
(leggi "bàiës")
Nella ricerca, sono eventi che creano distorsioni del fenomeno osservato e che incidono negativamente sulla spiegazione corretta del fenomeno stesso. A volte sono solo imperfezioni, a volte sono talmente distorsivi da rendere inefficaci le conclusioni di uno studio. Es.: Bias di selezione: i soggetti selezionati nel campione da testare non sono rappresentativi della popolazione.
È un concetto complesso da spiegare in poche parole, ma è come se creasse degli schemi mentali per incasellare ciò che gli viene richiesto e la risposta che deve dare in automatico. In questo modo non deve pensare ed evita l’emozione della paura.

Posso dire che i nostri cavalli, che non sono mai stati domati né addestrati, sono diversi da tutti i cavalli che si trovano nei maneggi. Si nota chiaramente che hanno la mente più libera, che sono più "vivi". Sono come i cavalli in natura, solo che hanno imparato a socializzare con l'essere umano. È questa differenza che mi ha fatto riflettere molto, a proposito di ricerche sui cavalli. Ho letto parecchi paper fatti per esplorare la loro cognitività, e vedo che molti di questi contengono esperimenti o test fatti su cavalli domati e addestrati. E secondo me questo comporta un grande bias*.

Sergio Albertin e Cleo del nostro branco

A. Vitale
Potresti aver ragione, ma come dicevo io so pochissimo sui cavalli. Potrebbe anche dipendere da cosa gli si chiede di fare.

E. Bartoli
Sì, certo. Alcuni paper a mio parere sono corretti, perché ciò che gli si chiede di fare non è condizionato dal loro addestramento. Ma in altri mi sembra davvero impossibile che abbiano testato determinate cose su cavalli domati e addestrati, che hanno una forma mentis così diversa da un cavallo mentalmente libero… e lo si vede dai risultati!

A. Vitale
Possibilissimo. Prova a chiedere a Federica, magari lei sa darti una risposta più esaustiva!

E. Bartoli
Ok! Vedrò Federica Pirrone verso i primi di dicembre, visto che viene qui a Ferrara. “Federica, preparati a una raffica di domande!”

Conclusione

Approfitto per ringraziare tantissimo Augusto per la sua grande disponibilità, per la sua onestà intellettuale e la sua umanità, doti non comuni in ambiente accademico. Sono felice di sapere che è una persona così che si occupa, all'Istituto Superiore di Sanità, dei "problemi etici e scientifici sollevati dall’utilizzo di animali nel campo della ricerca biomedica".

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